C’è una parte del mondo che, dopo un relativo benessere nello scorso decennio, è ripiombata – salvo rarissime eccezioni – in una situazione di crisi perenne: il Sud America. Negli ultimi anni, infatti, le crisi economiche di Perù, prima, e Venezuela, poi, sono state l’anfiteatro di quello che è capitato, negli ultimi mesi, ad altre due nazioni latino-americane: Ecuador e Argentina.
Fra le due, oggettivamente, quella argentina ha avuto un’enfasi decisamente più ampia sui mass media per via delle maggiori dimensioni geografiche, del peso politico più influente e della densità abitativa, oltre allo stretto legame che il paese argentino può vantare col nostro paese: almeno il 50% dei propri abitanti, infatti, è di chiare origini italiane.
Argentina remake del 2001?
L’Argentina, d’altro canto, era stata al centro, fra la fine e l’inizio del nuovo millennio, di una delle più grandi crisi economiche e finanziarie della storia. Quattro anni, fra il 1999 e il 2003, che avevano portato il paese al collasso e a dichiarare “default“, un evento che, all’epoca, sembrava fosse impossibile potesse accadere in una grande nazione come quella sudamericana. Ma nel 2001, lo stato fu costretto ad alzare bandiera bianca e a dichiarare fallimento.
Le scene delle banche, supermercati e farmacie prese d’assalto dalla disperazione della gente, già logorata da un biennio di fortissima recessione, fecero il giro del mondo. Immagini alle quali, purtroppo, non restarono insensibili neppure migliaia di italiani, che, attratti dai tassi particolarmente invitanti dei bond governativi di Buenos Aires, investirono cifre non indifferenti nel debito sovrano argentino, convinti che uno Stato di tale dimensioni non potesse fallire.
Dopo anni di ripresa, da alcuni addirittura associata alla parola “miracolosa“, l’Argentina, oggi, si trova nuovamente alle prese con l’ennesima gravissima crisi finanziaria, con lo spettro, diciott’anni dopo, di dichiarare nuovamente default.
E buona parte degli argentini, purtroppo, si trovano nuovamente costretti a tirare la cinghia, cercando di riuscire ad arrivare alla fine della giornata vivendo di espedienti, in modo da poter ottenere un cibo caldo per il proprio nucleo famigliare. Una situazione diametralmente opposta a quella che si vive in Italia dove, nonostante la crisi abbia colpito in modo feroce, grazie al risparmio privato e ad alcune misure di sostegno statali, le persone riescono ancora a concedersi alcuni piccoli svaghi, come, ad esempio, sfidare la fortuna, spendendo pochi spiccioli, coi migliori gratta e vinci.
Argentina nuovamente al tracollo: le motivazioni di un nuovo, probabile, default
A far sprofondare, nuovamente, l’Argentina, è stata la pubblicazione dei dati sul debito pubblico, passato, in soli dodici mesi, dal 57 all’86%. Un dato totalmente sfiduciante per gli investitori esteri, che dubitano, fortemente, delle reali possibilità di Buenos Aires di far fronte agli impegni presi col Fondo Monetario Internazionale, che ammontano a quasi 60 miliardi di dollari.
L’economia argentina, d’altro canto, è basata essenzialmente sull’esportazione di materie prime e prodotti non lavorati, il cui valore è fortemente esposto alla volatilità del mercato di riferimento. Ma a pesare come un macigno sull’economia argentina, oltre ad un’industria assai debole, è la bilancia commerciale: Buenos Aires, infatti, produce poco ed è costretto ad importare ogni genere di bene. Un saldo negativo che ha costretto, negli scorsi anni, la Banca Centrale a stampare moneta per cercare di ridurre la forbice fra import ed export.
Una manovra, però, che ha portato ad un aumento esponenziale dell’inflazione: con i Pesos, infatti, si comprano beni importati da altri paesi, contribuendo al rafforzamento della valuta locale di quest’ultimi e alla svalutazione di quella di Buenos Aires. Un effetto deflagratorio per i risparmi dei cittadini argentini, che perdono consistentemente il proprio valore a causa dell’inflazione galoppante. Non è casuale che gli argentini più abbienti preferiscano aprire conti correnti in valuta estera – Dollaro in primis – per proteggere al meglio i propri denari, nonostante questi conti presentino, mediamente, dei costi decisamente più elevati rispetto a quelli in Pesos.
Una situazione, quindi, decisamente critica. E che ha portato molti argentini a rimpiangere i tempi della presidenza di Christina Kirchner, populista ma in grado di contenere, grazie anche a politiche protezionistiche, l’aumento dell’inflazione e la svalutazione della moneta, elementi che Macrì, aprendo indiscriminatamente all’afflusso dei capitali dall’estero, non è riuscito a contenere e, viceversa, ha fatto letteralmente esplodere.